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Carceri e stranieri. La rieducazione ha l’obiettivo di reinserire nella società

CARCERI E STRANIERI: LA RIEDUCAZIONE PASSA DALL’ACCOGLIMENTO

— di Antonio Formato

Il piano costituzionale e la realtà

La cultura postmoderna, dalle sfumature asettiche, si connota per l’abbandono dei grandi progetti per l’uomo. Il principio di diretta derivazione costituzionale impone che la rieducazione sia il fine a cui deve
tendere la pena del condannato (art. 27, comma 3, Cost.).
A livello logico, se la rieducazione ha l’obiettivo di reinserire nella società un uomo – appunto – rieducato alla legalità da un percorso di detenzione, pare chiaro che l’obiettivo costituzionalmente imposto passi attraverso la stretta cruna della società – tendenzialmente mai, oggi ancor meno – rivolta verso valori come l’accettazione e l’accoglimento.
La quotidianità restituisce una realtà estremamente polarizzata, divisa ed incline ad un “noi” ed un “loro”. Per ciò che interessa ai nostri fini, esiste chi “in carcere c’è stato” e chi “in carcere non c’è mai stato”.
I detenuti stranieri s’ammantano di un doppio e permanente stigma: essere detenuti ed essere detenuti stranieri.
Difficile pensare che, ad oggi, sulla scorta di echi politici populisti e distraenti apporti mass mediatici, tutta la società possa avere l’empatia e la sensibilità per accettare e accogliere non solo stranieri, ma stranieri detenuti, affinché si realizzi pienamente il principio costituzionale della rieducazione dell’uomo.

Il (falso) mito carcerocentrico

Allo stesso modo, il sistema carcerocentrico si è rivelato un falso mito. Dura da ammettere, ma facile da constatare, è la realtà delle carceri italiane che, per restare cauti, risulta tragica. I numeri dei detenuti, rapportati alle strutture detentive, sono impietosi per uno Stato che si proclama democratico, liberale e garantista.
Meglio scriverli, per essere chiari. I dati aggiornati ai primi mesi del 2024 restituiscono circa 60.840 detenuti. Le strutture, già sovraffollate, sono al collasso, soffrenti di circa 5.000 detenuti in più. Dall’inizio dell’anno corrente ad oggi ci sono stati circa 16 suicidi, 202 tentati suicidi, 1301 atti di autolesionismo. Dal 1992 ad oggi, il 2023 è stato il peggior anno per numero di suicidi in carcere: 68 vite perse. I dati sono, tragicamente, in aggiornamento continuo.

Suicidi lontani

Di questi, circa la metà di suicidi ha riguardato detenuti stranieri. Il tempo in carcere non scorre, piuttosto si srotola in un unico istante, sempre identico a sé. Per i detenuti stranieri il tentativo di comprendere la realtà che li circonda è uno sforzo allineante: persi dentro una forza concentrica ed ellittica, perdono anche i loro più solidi punti di riferimento (i ricordi, la cultura, i sogni) e si estraniano, cercando la loro identità invano, in un cerchio discriminante privo d’amore, come nella ronda dei carcerati, di Van Gogh.

Prospettive

Ci si affatica, cara Italia, anche legittimamente, per i problemi che attanagliano la realtà geopolitica attuale, ma risultiamo guerci e ciclopi quando si tratta di studiare e migliorare la situazione carceraria in patria, soprattutto con riferimento ai detenuti stranieri.
Costruiamo carceri sempre più lontane dal centro delle città, al cui interno ci sono persone con il centro del cuore lontano dalle loro patrie, bisognosi di rispetto e dignità, allo stesso modo di chiunque altro.

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