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Less is more: la CEDU condanna la Corte di Cassazione italiana

L’articolo 360 del Codice di procedura civile

Chiunque abbia mai anche semplicemente letto un ricorso in Cassazione, pur non essendo un “addetto ai lavori”, si sarà certamente reso conto di quanto sia complesso adire la Suprema Corte. Dopotutto, l’articolo 360 del Codice di procedura civile, che ne costituisce la porta d’accesso, sancisce solo 5 motivi di ricorso. E questo significa che, in assenza di uno di questi, la Corte riterrà il ricorso inammissibile.

Il principio di autosufficienza

Ma il semplice fatto di allegare uno dei motivi di ricorso previsti non costituisce automaticamente un biglietto di ingresso dinnanzi ai giudici della Corte. Gioca infatti un ruolo fondamentale anche il principio di autosufficienza, che prevede che il ricorso contenga al suo interno tutte le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito, e che non necessiti di essere integrato con fonti esterne. E con “fonti esterne” si intende, paradossalmente, anche la stessa sentenza sulla quale si fonda il ricorso, ad esempio.

Questo ha l’inevitabile conseguenza di costringere gli avvocati a redigere atti anche di centinaia di pagine, omnicomprensivi e, va detto, spesso anche ripetitivi e prolissi.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

Questa è, in poche, pochissime parole, la situazione per cui la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha dovuto condannare l’Italia lo scorso 28 ottobre nel giudizio Succi contro Stato italiano, a causa dell’interpretazione eccessivamente formalistica dei criteri di redazione dei ricorsi in Cassazione.

In sostanza, nei requisiti di accesso alla Corte di Cassazione italiana, si assisterebbe ad un’ingiustificata sproporzione della forma rispetto alla sostanza, togliendo concretezza al diritto di accesso alla giustizia, sancito dall’articolo 6 della CEDU. Un approccio certamente anacronistico, che non può in alcun modo essere giustificato dalla sola esigenza di “filtrare” i casi da sottoporre alla Suprema Corte.

Basti pensare che non è infrequente assistere alla dichiarazione di inammissibilità di ricorsi in Cassazione per il semplice fatto di aver allegato, per esempio, il motivo di ricorso ex art. 360 co. 1, numero 5, anziché quello previsto dal numero 4 dello stesso articolo, indipendentemente dal fatto che la ricostruzione dei fatti permetta perfettamente di comprendere le ragioni a fondamento dell’impugnazione della sentenza.

Che questa pronuncia della CEDU costituisca un nuovo punto di partenza per lasciarci alle spalle una giustizia estremamente rituale e formalistica?

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