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L’idrosadenite, o acne inversa, non va trascurata durante il lockdown

—- di Prof. Gabriella Fabbrocini – Direttore UOC Clinica Dermatologica – Università di Napoli Federico II —-

L’Idrosadenite, nota anche come Acne Inversa o malattia di Verneuil, è una malattia infiammatoria cronica della cute che coinvolge i follicoli piliferi terminali localizzandosi in aree corporee ricche di ghiandole sudoripare apocrine: nelle donne si manifesta soprattutto nella zona ascellare, e nelle regioni inguinale e peri-anale negli uomini. Esordisce con noduli, infiammatori o non infiammatori, che possono evolvere in ascessi sottocutanei, formando cavità che portano a fistole drenanti e a cicatrici. Attualmente è ritenuta una malattia infiammatoria e non infettiva anche se, a livello delle lesioni, possono essere presenti varie infezioni indotte da batteri singoli o multipli (infezioni polimicrobiche). Un sano stile di vita può diventare parte attiva nella terapia contribuendo a limitare i picchi infiammatori, ma fondamentale è la tempestività nella diagnosi, troppo spesso tardiva, con conseguente peggioramento della salute del paziente.
L’idrosadenite non va in lockdown, le terapie quindi non devono essere sospese se non si vuol peggiorare la propria situazione. I pazienti necessitano di follow-up clinici talvolta frequenti, che a causa dell’emergenza pandemica hanno subito un brusco rallentamento. Uno stop da evitare anche perché grazie alla telemedicina può essere garantito il consulto dermatologico e, laddove necessario, il supporto psicologico.
La fascia di età più colpita è quella tra i 20 e i 30 anni. Le donne sono più colpite degli uomini, con un rapporto di 3 a 1. Tale rapporto è univoco nella stragrande maggioranza dei paesi europei ed americani; in alcuni paesi asiatici si osserva una frequenza analoga nei due sessi. In Italia, anche grazie ai dati raccolti da 17 centri di riferimento italiani, le persone colpite variano in funzione dell’area geografica, con un’incidenza di 3,2 casi per 100mila persone/anno. Purtroppo chi è colpito da HS subisce un peggioramento della qualità della vita alquanto significativo anche perché le lesioni, frequentemente localizzate in aree anatomiche delicate, come quelle genitali e glutea, sono in genere dolorose e ricorrenti. La patologia incide in maniera negativa sulla vita sociale e sessuale dei pazienti; è stato stimato, inoltre, un aumentato rischio di patologie di natura psichiatrica. Quanto ai fattori di rischio collegati alla gravità della malattia, quasi l’80% dei pazienti è obeso e presenta elevati livelli di Indice di Massa Corporea (BMI). Ma anche il fumo fa la sua parte: è emersa infatti una correlazione tra gravità della patologia e numero di sigarette giornaliere.
Antibiotici topici e sistemici, agenti immunosoppressivi sistemici, retinoidi, ormoni, dapsone, sali di zinco, e inibitori del Tumor Necrosis Factor (TNF-alfa), sono i farmaci più frequentemente considerati in relazione allo stadio di malattia. L’Adalimumab è l’unico farmaco biologico approvato per l’utilizzo nei pazienti affetti da HS da forme moderate o severe, in coloro i quali le terapie convenzionali abbiano fallito. In molti pazienti però questa terapia non determina sempre risultati soddisfacenti.
Studi recenti hanno individuato una finestra di opportunità terapeutica entro cui agire al fine di massimizzare l’efficacia del farmaco: molti pazienti infatti risultano non responsivi a causa di un ritardo diagnostico. L’intervallo medio tra la comparsa dei primi sintomi e la diagnosi corretta è di circa 7 anni. Nasce la necessità di nuovi agenti immunosoppressori/immunomodulanti efficaci nell’HS. Recentemente è stato dimostrato che la via cellulare dell’interleuchina (IL) -23 / T helper (Th) 17 è espressa nella cute dei pazienti affetti da HS: siamo in fase di studio.
Per maggiori informazioni mandare una mail a: dermofabbrocini@gmail.com
Prof. Gabriella Fabbrocini
Direttore UOC Clinica Dermatologica
Università di Napoli Federico II