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La sorella del Dalai Lama: «Il mio Tibet non esiste più»

Tibet. La sua fine è fra le cause delle alluvioni in Pakistan. Ora diamo voce ai giovani

Tratto da corriere.it  — di Valeria Sforzini

La sorella del Dalai Lama: «Il mio Tibet non esiste più. La sua fine è fra le cause delle alluvioni in Pakistan. Ora diamo voce ai giovani» Il leader spirituale tibetano Dalai Lama consegna un «premio di gratitudine» a Jetsun Pema, sua sorella, ex presidente del Tibetan Children’s Villages (foto AP)

Quando ha lasciato il Tibet aveva otto anni. Raggiunse i genitori in India, dove avrebbe vissuto come rifugiata per i decenni successivi. Era il 1949 e il suo Paese non era ancora stato occupato dalla Cina. Quando Jetsun Pema, la sorella minore del Dalai Lama, vi fece ritorno per la prima volta era il 1980. In trent’anni le cose erano molto cambiate. «Nei ricordi della mia infanzia, il Tibet era un posto meraviglioso. Ma quando sono tornata, non ho più trovato le mie colline verdi. Dove c’erano boschi, erano rimasti solo i ceppi. I camion entravano dal confine con la Cina vuoti e ne uscivano pieni di tronchi recisi. Mi ha spezzato il cuore».

«Parliamo del Tibet per dare voce a chi non ne ha», dice Jetsun Pema, ospite del convegno organizzato a Milano dall’Unione Buddisti Italiani alla Fondazione Feltrinelli

Oggi Jetsun Pema ha poco più di ottant’anni. Della sua vita in esilio, del suo ruolo come presidente del Villaggio dei bambini tibetani e come promotrice dell’educazione dei più piccoli per conto del fratello, ha parlato all’incontro “Forever Tibet”, organizzato a Milano, alla Fondazione Feltrinelli, dalla Unione buddista italiana il 12 e 13 novembre. Un’occasione per raccontare e far conoscere la storia di questo popolo e per presentare il docu-film realizzato dal regista Jean-Paul Mertinez sulla vita del Dalai Lama in esilio Never forget Tibet (qui il link per la proiezione di questa sera, 13 novembre, alle 19). Perché quella del Tibet è una storia che non va dimenticata e, come ha detto la stessa Pema, «Il ruolo di eventi come questo è di dare voce a chi non ne ha». «È un film che ti fa venire voglia di sapere di più della storia del Tibet», ha detto il regista, Jean-Paul Mertinez. «Ha molti lati tristi, ma è anche una storia di speranza. È anche un modo per far sapere al Dalai Lama che abbiamo sentito il suo messaggio. Così rilevante soprattutto adesso, con la Cop 27 in corso». Una storia che per molto tempo è stata ignorata e che rimane sconosciuta a molti. «Abbiamo il dovere di riempire il silenzio attorno a questa tragedia», ha spiegato Filippo Scianna, presidente della Unione buddisti italiani. «C’è un Tibet che va ricordato e che parla oggi per il domani».

Un’immagine della conferenza “Forever Tibet”. Da sinistra: Silvia Negri Firman, Jetsun Pema, Jean-Paul Martinez e Filippo Scianna Un’immagine della conferenza “Forever Tibet”. Da sinistra: Silvia Negri Firman, Jetsun Pema, Jean-Paul Martinez e Filippo Scianna

Il tetto del mondo

Non è un caso che il Tibet sia stato definito “Il tetto del mondo”. Il suo altopiano oscilla tra i tre e i quattromila metri di altezza. «Qui la natura non era mai stata toccata dall’uomo», continua Jetsun Pema, arrivata a Milano accompagnata dalla figlia. Per i buddisti tutto ciò che fa parte della natura è sacro. E in quanto tale deve essere protetto e rispettato. Dopo l’esilio di sua santità il Dalai Lama in India, il volto del Tibet è cambiato. «Al mio ritorno mi è stato detto che molte zone erano diventate delle discariche per scorie nucleari o che erano state contaminate», continua. «Tutto questo si è riversato nell’acqua dei fiumi, facendo ammalare gli abitanti del Paese, facendo nascere bambini con deformazioni. Noi non avremmo mai permesso che questo accadesse. Crediamo che tutti gli esseri senzienti, tutti, debbano vivere la loro vita e che debbano essere rispettati. Questo è l’insegnamento del buddismo».

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