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Moda usa e getta. Unione europea: moda più sostenibile

Addio alla moda usa e getta

L’Unione europea, nel più ampio progetto del “Green Deal”, si è soffermata sull’impatto climatico del sempre più diffuso fast fashion. Si stima che, in media, un europeo si disfi, ogni anno, di più di 10 kg di vestiti e simili. Una quantità decisamente troppo alta, considerato che, il settore tessile, ha un impatto ambientale devastante: il terzo in assoluto per consumo di acqua e suolo e il quinto per utilizzo di materie prime ed emissioni di gas serra.

E se non si fa qualcosa adesso, queste statistiche sono destinate a peggiorare considerevolmente.

Per questo motivo, l’UE si è data come termine il 2030 per l’attuazione della normativa che concretizzi il passaggio ad un’economia circolare. L’idea, in generale, è di creare dei capi più duraturi nel tempo e riciclabili: due caratteristiche che, attualmente, il fast fashion non vanta.

I cinque punti su cui si fonda la strategia europea

1. Eco-design

Chi ben comincia è a metà dell’opera: per poter accedere al mercato europeo, con l’entrata in vigore della direttiva, i capi dovranno rispettare dei requisiti di sostenibilità sin dalla loro progettazione. Al vaglio, ad esempio, qualità, durabilità, affidabilità, predisposizione al riutilizzo, facile riparabilità e totale riciclabilità di ogni capo. A mai più, cerniere inutilizzabili dopo il terzo utilizzo!

2. Responsabilità Estesa del Produttore

La Responsabilità Estesa del Produttore – REP – indica una nuova gestione dei capi di abbigliamento post consumo: in sostanza, il produttore non solo dovrà farsi carico dello smaltimento del prodotto, ma dovrà anche ridurre al minimo le possibilità che arrivi in discarica o nell’inceneritore, proponendo modalità alternative di riutilizzo o smaltimento, il più ecosostenibili possibili.

3. Trasparenza del settore

Nell’ottica di ricostruire l’anamnesi di un determinato capo, viene introdotta una sorta di “passaporto digitale”, recante tutte le informazioni di cui necessitano produttori e consumatori: impatto ambientale, condizioni dei lavoratori, materiali utilizzati, e così via.

4. Incentivi ad un consumo responsabile

L’Unione europea, inoltre, ha intenzione di supportare ed incentivare nuovi modelli di consumo: filiere responsabili ed innovative che spaziano su nuove tecniche ecosostenibili.

5. La sensibilizzazione dei consumatori

Per raggiungere degli obiettivi ambiziosi, però, l’UE deve concentrarsi anche sul diretto interessato, ossia il consumatore, chiamato ad essere il protagonista di questa rivoluzione nell’ambito della moda. No al fast fashion, sì a capi sostenibili e ad acquisti consapevoli. Materiali naturali, riciclati, e riciclabili, al posto di materiali sintetici e poco resistenti.

Un bilancio finale

Un modello, quello proposto dall’Unione europea, che potrebbe tamponare gran parte dell’inquinamento climatico che, anno per anno, sta distruggendo il nostro pianeta.

I prodotti sostenibili non sarebbero più una virtuosa scelta della nicchia, ma diventerebbero la regola. Prodotti duraturi, riutilizzabili, riparabili, facili da riciclare, efficienti nella produzione.

Ma è davvero così semplice passare dalla teoria alla pratica? La mentalità dei consumatori, al momento, sembra lontana davvero anni luce da un risultato di questo tipo. Egoisticamente è molto più semplice e comodo acquistare un abito a pochi euro, che potenzialmente finirà abbandonato chissà dove dopo giusto un paio di utilizzi, piuttosto che un capo più costoso, che siamo “moralmente costretti” ad indossare più volte, per far sì che la spesa sia giustificata. È un sistema sbagliato, ma compenetrato nel nostro approccio all’acquisto, da un lato, e nell’approccio delle multinazionali alla produzione, dall’altro.

Saranno sufficienti solo 8 anni? Inizia il conto alla rovescia.

 

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