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L’attualità del carro armato

Abbiamo visto, in questi tristi giorni, le lunghe file di veicoli blindati dispiegati dalla Russia sulle strade dell’Ucraina, spesso in difficoltà per via dalla limitata percorribilità che talvolta le stesse presentano, per la penuria di carburante e ovviamente in ragione della guerriglia che si contrappone alla loro avanzata. Se mettiamo tra parentesi la tragicità dei suddetti eventi, entro i limiti di quanto sia possibile e giusto farlo, possiamo considerare l’emergere di quelle immagini interessante da un punto di vista schiettamente tecnologico. Nella Seconda guerra mondiale i carri armati videro il loro grande momento di affermazione sul campo, ma anche la messa in evidenza dei propri limiti e il sopravanzare della centralità rivestita dall’aeronautica rispetto alle più tradizionali forze di terra e di mare. Né le immense corazzate giapponesi, né i rinomati panzer o persino i temutissimi U-Boot tedeschi potevano reggere a lungo il confronto con la capacità distruttiva di un bombardamento aereo. Come sostenne l’aviatore progettista russo Aleksandr Nikolaevič Prokof’ev-Severskij nel suo Victory Through Air Power, trasformato dalla Walt Disney Productions nell’omonimo docufilm propagandistico del 1943, l’utilizzo del mezzo aereo da parte dei paesi anglosassoni è stata l’arma più efficace contro gli eserciti dell’Asse. Non sorprende affatto, quindi, la crescente importanza dei nuovi aerei, dei missili ipersonici, dei droni e dei satelliti spia, mentre la perdurante presenza dei carri armati su tutti i teatri di guerra qualche stupore può destarlo eccome. Quanto sono importanti i carri armati nelle battaglie odierne?

C’è innanzitutto un significativo contraltare da considerare rispetto alla pur corretta valutazione di Severskij circa la supremazia aerea degli Alleati: l’efficace apporto sovietico al conflitto mondiale si radicò invece proprio sull’impiego di una vasta fanteria affiancata da ottimi veicoli corazzati. Lo stesso riuscitissimo Panzer V Panther era stato sviluppato sul modello del T-34 sovietico, il primo a sfruttare una corazzatura inclinata per perdere peso e insieme indurre i proiettili nemici a rimbalzare. Durante la Guerra fredda, si affermò il modello Main Battle Tank, basato sull’idea che una possibile Terza guerra mondiale avrebbe visto fronteggiarsi in Europa dei grandi battaglioni corazzati nei quali il carro armato avrebbe dovuto orientativamente soppiantare la fanteria appiedata. La produzione di carri armati pesanti crollò, perché si comprese ben presto che non occorrevano potenti veicoli di sfondamento accompagnati da mezzi d’assalto leggeri, perché questi ultimi risultavano decisamente più efficaci da soli che non relegati a un ruolo gregario per macchinari più grandi. Per migliorare le difese di questi mezzi più rapidi e meno gargantueschi, i sovietici svilupparono le corazze reattive, cioè un rivestimento di piastre piene di materiale esplosivo che sviluppa la propria deflagrazione solo in direzione opposta al rivestimento del veicolo. Quando un proiettile colpisce un carro protetto in questo modo, la sua deflagrazione viene contrastata dalla deflagrazione della piastra stessa, diminuendone di molto la potenza. Perfino i proiettili penetratori a energia cinetica, quelli cioè che non posseggono esplosivo e si basano solo sulla propria velocità e forma per arrecare danni, faticano a penetrare le versioni migliori di questa protezione. Gli eserciti occidentali, inizialmente, si focalizzarono invece su nuovi modelli di corazzatura composita e gli inglesi svilupparono l’efficiente corazzatura Chobham, una doppia corazza in acciaio inframmezzata da strati di ceramica balistica immersi in materiale plastico, il tutto sezionato in vari blocchi congiunti lungo la superficie del veicolo. Il raccordo tra queste sezioni deve essere realizzato con estrema accuratezza o rischia di diventare un punto debole. Quando, però, è ben realizzato, il risultato è uno scudo dinamico che distribuisce elasticamente l’energia dell’impatto da un segmento all’altro. Le ultime versioni statunitensi di questa protezione vi integrano anche elementi in uranio impoverito, molto efficace anche se molto pesante. La combinazione di questi modelli difensivi protegge i carri persino dai proiettili a carica cava che sfruttano l’effetto Munroe, cioè il getto di plasma che si produce all’impatto di un proiettile esplosivo dotato di una cavità conica interna all’ogiva.

Dopo la caduta dell’URSS, nel 1989, lo sviluppo di nuovi carri armati subì un forte rallentamento, sia perché i sistemi anticarro continuavano a progredire, sia perché lo spettro della guerra in Europa sembrava essersi allontanato per sempre. I carri creati nei decenni successivi, come i 200 carri Ariete che l’Italia ha prodotto a metà degli anni Novanta, risalivano tutti a progetti precedenti la fine della Guerra fredda. Tuttavia la sfida tra i progettisti delle corazze e quelli dei proiettili anticarro è proseguita e, inaspettatamente, i secondi non hanno avuto per niente vita facile contro i primi. Le migliorie nella composizione delle corazze e nell’aggiunta di elementi reattivi che non sono più necessariamente esplosivi aprono la strada all’impiego, finora pressoché fantascientifico, di corazze ablative dotate di sensori che rilevano l’arrivo dei proiettili nemici e ne predispongono la ricezione con varie contromisure. Sono strumenti che possono sfruttare i campi elettrici e integrare nella corazzatura stessa dei lanciagranate al tungsteno che, rilevata dai sensori la minaccia in arrivo, si attivano per colpirla prima ancora che quest’ultima raggiunga il bersaglio. Il carro armato, in definitiva, non è uno strumento destinato ad andare in pensione nel prossimo futuro. Anzi resterà ancora a lungo la spina dorsale di tutte le fanterie.

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