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L’Ucraina bussa alla porta dell’Unione europea

Una strada lunga e delicata, quella per entrare a far parte dell’Unione europea, che l’Ucraina si è mostrata desiderosa di voler intraprendere, con la richiesta di Volodymyr Zelensky, il presidente ucraino, circa l’introduzione di una procedura speciale di adesione rapida, adottata in virtù dell’attuale situazione di crisi. Tuttavia, l’adesione parrebbe non essere così semplice, e non solo per le discordanti prese di posizione ufficiali, tra una Von der Leyen possibilista e un Borrell decisamente meno aperto.
Certo, l’ingresso dell’Ucraina nella “Comunità degli Stati democratici” sarebbe in grado di lanciare un messaggio forte e chiaro in questo a dir poco drammatico periodo storico. Ma al di là delle posizioni politiche, l’adesione di un nuovo Stato non è un processo da sottovalutare.

La procedura di adesione all’Unione europea

Gli step da superare per potersi dire uno Stato membro dell’UE sono essenzialmente quattro.

Innanzitutto, il paese in questione deve basarsi sui valori fondanti dell’UE, sanciti dall’articolo 2 del Trattato dell’Unione europea; tra questi, ad esempio, l’uguaglianza, il rispetto dei diritti umani e la non discriminazione.

Dopodiché, se il paese richiedente ritiene di soddisfare questi prerequisiti, può procedere alla presentazione di una richiesta formale, in merito alla quale si esprimerà la Commissione. Ma è solo con il parere unanime del Consiglio dell’Unione europea e l’approvazione da parte del Consiglio europeo che si assume lo status di “candidato”.

Una volta che lo Stato può essere considerato un candidato vero e proprio, prendono il via i (lunghi) negoziati, suddivisi in 35 aree politiche (in gergo, i “capitoli tematici”), che toccano tutto il corpo di legislazione dell’Unione e che si svolgono attraverso trattative intergovernative bilaterali con gli Stati membri, riportate in relazioni periodiche ad opera della Commissione. In sostanza, il consiglio dell’UE fissa alcuni parametri di riferimento che permettono di verificare che il candidato attui la legislazione prevista da ciascun capitolo tematico al più tardi entro la (presunta) data di adesione.

Chiusi – positivamente – i negoziati, si passa alla fase finale del trattato di adesione.
Si inizia con l’approvazione (anche in questo caso, unanime) del Consiglio dell’UE prima e del Parlamento europeo poi, si passa per la firma da parte di ciascuno Stato membro – compreso il “neonato” – e si termina con la ratifica dell’atto.

Un’adesione (tutt’altro che) rapida

Per avere un’idea delle tempistiche che questo complesso iter richiede, la procedura di adesione della Croazia, l’ultimo paese ad aver aderito all’UE, ha richiesto dieci anni, di cui più di metà dedicati ai soli negoziati.

Realisticamente parlando, è difficile ipotizzare nel caso dell’Ucraina una “adesione rapida”.
Quello a cui si può ambire è, piuttosto, il riconoscimento in tempi brevi dello status di paese candidato: per intenderci, il secondo step della procedura. Questo è ciò che ha chiesto il Parlamento europeo alle Istituzioni dell’Unione negli scorsi giorni, con il il voto favorevole di 637 deputati, 13 contrari e 26 astenuti.

Una scelta controversa, da ponderare attentamente: per quanto dettato dalle migliori intenzioni, un ingresso “a scatola chiusa”, controcorrente rispetto alle regole ferree dettate dall’Unione, potrebbe costituire un pericolosissimo precedente.

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