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Max Weber. L’etica protestante e lo spirito del capitalismo

Roberto Targetti, nato a Milano nel 1947, laurea in giurisprudenza, è stato uno dei più innovativi direttori del personale in grandi aziende come Heineken, Novartis, ecc. Su TrendiestMAG pubblica commenti sul diritto del lavoro e una serie di “abstract” di importanti opere letterarie classiche o dei nostri giorni, di particolare significato per i manager di un’azienda.

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“L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”

Raccoglie i saggi di MAX WEBER.

Il cottimo

Nel tentativo di sintetizzarne i principali contenuti, partiamo dal cottimo, che già esisteva nel 1905 quando Max Weber ha scritto i saggi.

Ipotizziamo che vengano aumentate le percentuali del cottimo offrendo così agli addetti la possibilità di guadagnare di più. Possiamo trovare due opposti comportamenti:

  • Colui che mantiene il ritmo di lavoro e coglie l’opportunità di guadagnare di più.
  • Colui che coglie l’opportunità di ridurre il ritmo di lavoro mantenendo il guadagno attuale.

Nel primo caso diremmo che il driver è il guadagno; nel secondo il comfort.

Una cosa però è sicura: quale che sia l’obiettivo, la seconda ipotesi si traduce in una conseguenza negativa per l’azienda.

Religione e lavoro

Weber è il primo, nel mondo occidentale, a collegare la religione con il lavoro.

Analizza l’etica religiosa e il mondo del lavoro (capitale, affari, professioni e professionalità), li spiega insieme chiarendo che l’etica religiosa condiziona in modo fondamentale la vita professionale e poi, in qualche modo, è a sua volta da questa condizionata.

L’etica protestante valorizza la presenza terrena e teorizza che la produzione di denaro non va vista come mezzo per soddisfare i bisogni materiali della vita ma, al contrario, è lo scopo della vita dell’uomo. Nobilita quindi al massimo il dovere professionale, la produzione del guadagno, l’impegno materiale e, in sostanza, l’accumulo del capitale. Quest’ultimo purchè sia onestamente accumulato, messo al servizio utile di sé e della collettività, reinvestito nell’impresa ecc.

Il lavoro come scopo della vita

In sostanza il lavoro non è il mezzo per vivere ma è lo scopo della vita e come tale è un dovere svolgerlo, svolgerlo al meglio e, possibilmente, arricchendosi.

“…..il dogma centrale di tutte le chiese protestanti respinge la distinzione cattolica degli imperativi morali……e sostiene che l’unico modo di essere graditi a Dio non sta nel sorpassare la moralità intramondana con l’ascesi monacale, ma consiste esclusivamente nell’adempiere ai doveri intramondani quali risultano dalla posizione occupata dall’individuo nella vita, ossia dalla sua professione che appunto per ciò diventa la sua vocazione.”

Calvino non riteneva affatto che la ricchezza degli ecclesiastici fosse di ostacolo alla loro attività ma anzi vi vedeva un auspicabile aumento del loro prestigio e permetteva loro di investire fruttuosamente il loro patrimonio alla condizione di usarlo onestamente…..ecc.

Ciò che la morale condanna è l’adagiarsi nel possesso (vedi cottimo 2), nel godimento della ricchezza con la sua conseguenza di ozio e concupiscenza…

Il dovere del ricco è di continuare a lavorare, impegnarsi e accumulare.

L’utilità di una professione è in funzione di criteri etici, in funzione dell’utilità sociale e dell’importanza per la collettività, e del profitto economico privato e reinvestito.

Conclusione

Da questa lettura, insieme all’osservazione e all’esperienza diretta, si possono ricavare i seguenti spunti:

La seria, rigorosa, puntigliosa professionalità del mondo mitteleuropeo, che appunto sembra, e a volte è, fine a se stessa.

Il fatto che gli anglosassoni non si accontentino mai dei risultati raggiunti, anche se lusinghieri, ma operino sempre e con convinzione per migliorarli all’infinito.

Il fatto che il capitalismo e le economie mitteleuropee siano di molto precedenti e più sviluppati di quelli dei paesi cattolici/mediterranei. E, guarda caso, le crisi colpiscano questi ultimi più profondamente e più pericolosamente.

 

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