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Specie interplanetaria

Dopo i trionfi di Apollo, tocca alla gemella Artemide accompagnarci verso la Luna, ma stavolta l’obiettivo principale non sarà raccogliere campioni di regolite, depositare placche e alzare bandiere. Il prossimo febbraio, prenderà il largo la prima fase di Artemis, un ambizioso programma a guida NASA, con la partnership di ESA, CSA, JAXA e dei nuovi protagonisti privati della corsa alle stelle, tra i quali spiccano SpaceX, Dynetics, Blue Origin e Lockheed Martin. Anche la Roscosmos si unirà a questo impegno corale per edificare la base stellare cislunare Lunar Gateway. Per la prima volta nella storia dell’umanità, un programma spaziale reca come fine ultimo ufficiale la colonizzazione di una regione extraterrestre. Alle soglie del 2030, avremo una base lunare con un modulo abitativo capace di sostentare autonomamente missioni con equipaggio lunghe almeno due mesi sulla superficie e una base stellare in orbita sopra di essa.

Il primo lancio sarà soprattutto un test. La navetta Orion MPCV orbiterà intorno alla Luna senza un equipaggio a bordo e tornerà sulla Terra, ma nel frattempo lancerà molte piccole sonde che dovranno studiare meglio il nostro satellite, scoprendo ad esempio quanto ghiaccio si nasconde all’ombra dei suoi crateri. Il secondo farà la stessa cosa, ma con un equipaggio umano che condurrà importanti rilevazioni. Il terzo, nel 2024, sarà volto a una nuova impresa di allunaggio. L’obiettivo finale dei lanci successivi sarà creare una base lunare permanente che sarà realizzata, entro il 2030, al polo sud della Luna. Parallelamente, sempre a partire dal 2024, verranno inviati i primi moduli della base orbitale Lunar Gateway. Si prevede che arriverà a comprendere un totale di sette moduli e un braccio robotico. Qualsiasi missione con equipaggio destinata alla Luna o a Marte potrà così appoggiarsi a questo cruciale avamposto dell’esplorazione spaziale. Per la base al suolo, invece, è in progettazione anche un grande rover dotato di un modulo pressurizzato, una sorta di camper lunare che JAXA sta progettando insieme a Toyota.

È ormai lontano quel 21 luglio del ’69 in cui Armstrong, Collins e Aldrin portarono a termine la missione Apollo 11, facendo sognare quell’umanità che con loro compiva un primo piccolo, grande passo nel vasto oltre che ci circonda. Negli anni Settanta, si dava per scontato che quella missione avrebbe spalancato le porte a una rapida colonizzazione del satellite e sembrava verosimile che nel giro di due decadi sarebbe stata allestita una base gigantesca come la Base Alpha dell’ottima, ma sfortunata serie TV britannica Space: 1999. Invece l’ultimo sbarco sulla Luna risale alla missione Apollo 17 del 1972, un po’ perché, a ridosso di questi clamorosi successi, le nazioni più attive nell’esplorazione spaziale effettuarono drastici tagli di budget alle agenzie del settore, ma soprattutto perché costruire qualsiasi cosa oltre la nostra atmosfera è un’impresa ben più ardua di quanto si possa immaginare senza aver fatto studi specifici. Abbiamo smesso di sognare basi stellari colossali, alimentate da reattori nucleari e capaci di generare gravità artificiale ruotando come immense centrifughe. Non è facile nemmeno ripetere l’impresa di superare la bassa orbita terrestre: le fasce di Van Allen circondano la Terra con una colossale ciambella di vento solare rimasto imprigionato nella nostra magnetosfera dalla forza di Lorentz. Le particelle cariche, così ingabbiate, si scontrano tra loro e perdono energia cinetica, commutandola in radiazioni dannose per la strumentazione elettronica.

Anche se l’interesse del grande pubblico e i finanziamenti sono diminuiti, i pionieri delle stelle non hanno smesso di escogitare modi per ottimizzare la permanenza umana in ambienti extraterrestri. Molte delle sperimentazioni condotte negli ultimi anni sulla Stazione Spaziale Internazionale erano orientate a testare nuove soluzioni tecniche per offrire agli astronauti un’esperienza di ricerca sul campo molto più ampia di quella consentita dagli strumenti del passato. Oggi possiamo realizzare tute più snodabili, sensori più accurati e veicoli più resistenti. L’aspetto estetico delle nuove navicelle non si discosta granché da quelle delle missioni Apollo, tuttavia l’efficienza, la sicurezza e l’accuratezza dei dati che possono collezionare sono incomparabili. Sarà altresì necessario ricorrere ancora a un sistema di lancio orbitale pesante non riutilizzabile, ma probabilmente questi grandi razzi a due stadi saranno gli ultimi della loro categoria. Molte cose stanno cambiando e la ricerca avanzata è un ambito particolarmente adatto a rendere conto di questi cambiamenti. Negli anni Sessanta, la NASA scelse di fare sbarcare Neil Armstrong per lanciare un segnale progressista e pacifista al mondo, perché era un civile e non un militare. Stavolta toccherà a una donna rimettere piede, dopo oltre cinquant’anni, sui basalti splendenti che da sempre adornano le nostre notti.

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