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“Anna sumisura”. Fashion, storia e passione

Storie Italiane “Anna sumisura”
di Iuliana Ierugan
I capi di Anna sumisura
I capi diAnna sumisurasono pezzi unici e oggetti carichi di storia e passione. Questo brand vuole celebrare l’identità personale di chi sceglie di indossare i suoi capi, valorizzando le diverse personalità e fisicità di ogni donna, cosa che abbiamo potuto notare nella Fashion Week milanese, che finalmente ha dato spazio in passerella non solo alle modelle taglia 42.
Le gonne vengono realizzate esclusivamente a mano da sarte italiane con tessuti africani in 100% cotone, stampati a cera con colori naturali, secondo la tradizionale tecnica wax.
Si tratta di stoffe molto amate non solo dalle donne africane ma diffuse e apprezzate in tutto il mondo.
Il marchio Anna sumisura è nato con lo scopo di valorizzare due culture diverse ma complementari, quella italiana e quella africana, creando un prodotto che elevi il concetto del made in Italy, dando nuova vita alla moda africana, adattando i loro tessuti al gusto italiano.

L’Africa

L’Africa, la terra madre dell’umanità ha sempre affascinato Cristiana Giani, la fondatrice del brand, che ha voluto intitolare Anna, il nome di sua mamma, che usava farsi confezionare gli abiti della famiglia dalla sarta anche per i bambini. Nei negozi di tessuti si respirava un odore unico e le parole avevano un suono sconosciuto ad ogni bambino: broccato, chiffon, organza, velour. Si sentiva come in un tempio dove la mamma sapeva tutto.
Il temperamento del popolo africano, la diveristà tra i suoi stati e le loro tradizioni si rispecchiano nei loro abiti, nei monilio, nel cibo, nella musica. Questa fusione di valori estetici e morali è sempre stato motivo di grande ispirazione per la stilista.

Anna sumisura: Cristiana Giani

“Aspiravo a celebrare e valorizzare l’eleganza femminile unendo il design italiano a questi tessuti eccentrici. Non volevo lanciare l’ennesimo brand da buttare sul mercato, già affollatissimo, dell’abbigliamento con tutte le sue preferenze al basso costo, allo sfruttamento della manodopera, regole di distribuzione, svendite e chissà cos’altro, io volevo fare qualcosa di diverso, qualcosa di più vero”.
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