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I dati personali: l’oro del ventunesimo secolo?

Alzi la mano chi non ha mai distrattamente accettato l’uso dei cookies su un sito web, o chi non ha mai fornito la propria e-mail per iscriversi alla newsletter di uno shop online. Abitudini all’ordine del giorno nella vita di tutti noi, che però non tengono conto dell’immenso valore che hanno acquisito, ad oggi, i nostri dati personali in rete.

È ormai nota la diffusione del business model di offrire servizi gratuitamente: si pensi a Google, o ad alcuni tra i social network più diffusi, come Facebook, Instagram e Twitter, che non richiedono all’utente di sottoscrivere alcun abbonamento per accedervi. Questo perché non hanno bisogno di un corrispettivo monetario, ma si “accontentano” della raccolta, monitoraggio e sfruttamento dei nostri dati personali: una merce, nel lungo periodo, ben più remunerativa di un semplice canone mensile. È proprio questo che nel GDPR viene definito come “profilazione”, ossia “qualsiasi forma di trattamento automatizzato di dati personali consistente nell’utilizzo di tali dati personali per valutare determinati aspetti personali relativi a una persona fisica”, per cui si richiede che l’interessato fornisca il proprio consenso esplicito al trattamento.

Ecco il motivo per cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato si è lungamente battuta affinché non venissero più pubblicizzati servizi come “gratuiti”, laddove invece si richiedeva il consenso dell’utente al trattamento dei propri dati per l’invio di e-mail pubblicitarie. Perché gratuiti, di fatto, non sono.

E infatti, i colossi del web traggono profitto dalle tracce che noi, volontariamente ma inconsapevolmente, lasciamo quando navighiamo, visualizziamo o clicchiamo inserzioni, quando indossiamo il nostro smartwatch, quando guardiamo un video su internet, quando sottoscriviamo una nuova assicurazione, e così via. È sempre più comune che, dopo una qualsiasi ricerca online, ci imbattiamo, “quasi per caso”, in prodotti simili a quello che stavamo cercando, ma di brand differenti. O che, dopo aver provato un nuovo sport, nelle sponsorizzazioni di Instagram ci compaiano sempre più spesso profili di utenti appassionati alla stessa disciplina. “Si vede che ho iniziato a farci più caso”, la motivazione che si danno tutti. Di fatto, però, il nostro smartphone sa più cose di noi di quante ne sappiano i nostri genitori, il nostro partner o il nostro migliore amico. Eppure, ancora non ci è chiaro quale sia il valore dei nostri dati personali.

Allora, ecco alcuni numeri. Nel 2018 l’AGCOM stima che i ricavi mensili di Google siano di circa 37 euro per ogni utente, tramite le sole ricerche. Per quanto riguarda i social network, invece, Facebook ed Instagram si attestano sulla cifra mensile rispettivamente di 21 e 11 euro, poco più di Youtube che, invece, si ferma a quota 10 euro per utente.

Delle cifre notevoli, molto più alte di quello che paghiamo per gli abbonamenti ai servizi streaming per film e serie TV. Ma saremmo disposti a pagare 37 euro al mese, per un Google senza pubblicità?

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