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Velieri tra le stelle

Una classica suggestione narrativa che ricorre nelle opere fantascientifiche consiste nel paragonare la futura esplorazione spaziale all’antica epopea dell’esplorazione marittima. Le navi hanno sempre esercitato un ruolo fondamentale nell’immaginario umano, incarnando una dimensione epica del viaggio, dell’avventura e della scoperta. Non a caso i veicoli spaziali sono stati sempre chiamati astronavi o vascelli stellari, evocando quel tipo di mezzo piuttosto che il carro, l’automobile, l’aereo, l’aerostato o il sommergibile che, pur essendo tecnicamente una nave, di fatto non viene in mente a nessuno nell’udire quella parola. Il paragone è stato talvolta esplicitato sul piano estetico, con astronavi che nell’aspetto ricordano da vicino le classiche corazzate degli anni Quaranta, come nelle opere di Leiji Matsumoto, gli antichi velieri, come nel disneyano Il Pianeta del tesoro, o perlomeno mutuando dal lessico marinaresco i titoli degli ufficiali e i nomi di molti strumenti, tanto che lo spostamento volontario nello spazio interplanetario è sempre e comunque stato definito una forma di navigazione. In parte è successo anche nel caso dei velivoli, visto che si parla di aeronautica esattamente come di astronautica, ma il paragone in quel campo appare molto più limitato, perché l’aereo rappresenta un archetipo a sé stante e il volo ha sempre avuto la sua mitologia dedicata. Ultimamente, però, una particolare tecnologia propulsiva che favorisce queste associazioni è andata incontro a un notevole perfezionamento e a una conseguente estensione del proprio impiego.

In una lettera spedita a Galileo nel 1610, Johannes Kepler aveva notato che la coda delle comete fosse sempre rivolta nella direzione opposta al Sole, intuendo che le emissioni stellari esercitassero una certa pressione sugli oggetti circostanti e immaginando una vela capace di sfruttarla. Nella seconda metà dell’Ottocento, gli studi di Maxwell sui campi elettromagnetici dimostrarono in linea teorica che anche la luce dovesse possedere un momento lineare e di conseguenza poter esercitare una pressione di radiazione. Nel 1899, il fisico moscovita Pyotr Nikolaevich Lebedev, fondatore della prima scuola scientifica russa, dimostrò sperimentalmente la correttezza delle previsioni di Maxwell con un pendolo a torsione che anticipava di un paio d’anni il radiometro creato da Ernest Nichols e Gordon Hull. Il pioniere della ricerca aerospaziale sovietica Friedrich Zander, nel 1925, pubblicò un paper che analizzava tecnicamente la realizzabilità delle vele solari. Negli anni Settanta, l’astronomo statunitense Carl Edward Sagan propugnò la concreta creazione di sonde a vele solari da inviare incontro alla cometa di Halley. L’idea non andò in porto, ma avviò alcune ricerche da parte del californiano Jet Propulsion Laboratory che gettarono le basi per i futuri sviluppi della tecnologia. Nel 1973, la sonda Mariner 10 sfruttò con successo la pressione della luce sui propri pannelli solari per risparmiare carburante durante il suo viaggio tra Venere e Mercurio. Nella narrativa, in varie decadi autori del calibro di Jack Vance e Arthur Charles Clarke hanno inserito le vele solari nei loro racconti. Fu, però, il fisico e scrittore Robert Lull Forward a illustrare, a metà degli anni Ottanta, tutto il potenziale di un propulsore che non richiede alcun propellente e, pur ottenendo sempre meno spinta con l’aumento della distanza dal Sole, è comunque in grado di accumularne a sufficienza da percorrere lunghissime tratte all’interno del sistema solare. L’impiego di specchi membranosi composti da una pellicola alluminata di Kapton, flessibile e resistente al calore, fu indagato tra gli anni Novanta e Duemila, soprattutto sul fronte tecnicamente spinoso del dispiegamento. Nel 2010, il Giappone ha spedito su Venere la sonda Ikaros, sospinta unicamente da vele solari.

La ricerca sull’uso propulsivo della luce punta sulla realizzazione di vele costituite da un materiale migliore del Kapton, come la fibra di carbonio sviluppata nel 2000 dagli Energy Science Laboratories o le maglie di nanotubi che al momento sono poco più che teoria. Un’altra possibilità per potenziare questo strumento, è l’impiego di potenti emettitori laser installati sulla Terra, sulla Luna o su una stazione spaziale che possano colpire direttamente le vele, così da provocare una notevole accelerazione del veicolo.

Non bisogna confondere le vele solari con quelle magnetiche, le quali sono in grado di catturare il vento solare propriamente detto, cioè quello costituito dall’enorme quantità di protoni ed elettroni che il Sole irradia perpendicolarmente rispetto alle linee del proprio campo elettromagnetico e che raggiunge la Terra con vari milioni di particelle per metro cubo. Quest’ultima tecnologia, però, non apparirebbe molto simile a una vela nautica, perché sarebbe composta da bobine di cavo superconduttore capaci di generare un campo magnetico che interagisca con le particelle cariche.

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