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Il futuro dell’energia

Dopo la distruzione di Hiroshima e Nagasaki, la dimostrata realizzabilità delle prime bombe a fissione nucleare aprì la strada alla realizzazione di un’arma ancora più potente: la bomba a fusione nucleare. Robert Oppenheimer, il fisico che più di ogni altro aveva determinato l’esito del Progetto Manhattan, si oppose fermamente alla realizzazione di simili armi, reputandola irredimibile. Le sue rimostranze etiche gli inimicarono i gerarchi dell’aviazione e l’entourage anticomunista di McCarthy che associò la sua opposizione a simpatie comuniste. Sotto la presidenza Truman, nel 1950, Edward Teller guidò il gruppo di ricerca che nel ’52 fece brillare la prima bomba termonucleare della storia. L’anno dopo, vi sarebbero riusciti anche i sovietici e di lì a poco tutte le potenze nucleari seppero dotarsi di questo deterrente. Le bombe H montano una piccola bomba A come innesco. La sua esplosione scalda e pressurizza fino alla soglia di fusione il combustibile contenuto all’interno del fusto che ne costituisce il secondo stadio. Esso contiene deuterio, un isotopo stabile dell’idrogeno. I nuclei del deuterio, così come quelli del litio, colpiti dai neutroni veloci della prima esplosione, producono un isotopo dell’idrogeno che invece è radioattivo: il trizio. La miscela del trizio e del deuterio è il materiale più idoneo che si conosca per effettuare la fusione nucleare. Le bombe termonucleari non hanno i limiti tipici di quelle a fissione, le quali non possono essere né troppo piccole, né troppo grandi: le singole masse di uranio o plutonio, prima dell’innesco, devono essere inferiori alla massa critica. Quest’ultima, nelle bombe H, coincide soltanto con quella delle bombe A che contengono. Fortunatamente, invece di creare bombe H immense, i governi hanno perlopiù sfruttato questa loro caratteristica tecnica per produrre armi energeticamente più efficienti, ma meno inquinanti delle precedenti. Una bomba termonucleare di modeste dimensioni, infatti, può cagionare gli stessi danni che in Giappone produssero Little Boy e Fat Man, emettendo però meno radiazioni. Infatti, il materiale fissile può limitarsi a quello contenuto nel primo stadio e il tempo di dimezzamento del trizio è pari ad appena 12,3 anni.

Si intuì, allora, quanti vantaggi l’applicazione civile della fusione nucleare presentasse rispetto alla fissione. Una centrale a fusione nucleare non è soggetta a possibili reazioni a catena come quella occorsa a Černobyl’, né può produrre nubi radioattive, scorie e nemmeno anidride carbonica. Non è un impianto dotato di applicabilità bellica, come quello che recentemente l’Iran ha cercato di mettere in piedi, perché non può servire a produrre materiale fissile arricchito. Inoltre, data la rapidità con cui la radioattività del trizio decade, sarebbe possibile smaltire un nucleo di fusione dismesso in pochi decenni, invece che in vari millenni. Il tempo poi diventerebbe irrisorio, se si sviluppasse la fusione per mezzo di materiali aneutronici o anche solo se i nuclei fossero costruiti con materiali meno soggetti all’attivazione neutronica rispetto all’acciaio e al cemento armato. Rimangono, per ora, due grossi problemi da superare. Il primo riguarda il bilancio energetico positivo, perché la fusione di due atomi di idrogeno richiede un’energia di poco inferiore a quella corrispondente alle loro masse. Si tratta di un’energia enorme che, dopo l’attivazione della centrale, dovrebbe essere di volta in volta recuperata dall’energia prodotta di reazione in reazione, visto che la possibilità teorica delle trasmutazioni LENR, ovverosia della fusione fredda, non è stata dimostrata. Il secondo problema è connesso al primo e consiste nel fatto che il flusso neutronico prodotto dalla fusione nucleare supera di cento a uno quello dato dalla fissione e questo lo rende difficile da controllare. Sono in studio varie soluzioni, ma tutte prevedono l’impiego di grandi composizioni di potentissimi magneti che richiedono, a loro volta, molta energia per generare campi di confinamento efficaci. Nella francese Cadarache è in preparazione il progetto cooperativo internazionale ITER, il quale ha visto UE, USA, Russia, Cina, Giappone e Corea del Sud sviluppare un nucleo tokamak il cui scopo è ancora puramente sperimentale e dimostrativo. Nei prossimi decenni, i risultati di questa ambiziosa opera di ricerca scientifica potranno fornire le basi per determinare l’eventuale realizzabilità di reattori più efficienti e meno costosi che possano dare una risposta definitiva al nostro bisogno di energia pulita e sicura.

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